Dio tascabile (e intanto i Mogwai, e il Glasgow Celtic..)

Ritrovare amici perduti lungo la strada è una dimostrazione che avere fede, dopotutto, ha senso. Il tempo è passato, le maree ci hanno portato lontano e reso diversi dall’immagine che coltiviamo di noi dieci anni fa. Siamo stati trasportati di spiaggia in spiaggia, abbiamo attraversato vuoti e reciproche mancanze: eppure in pochi minuti il nastro si riavvolge e annulla. Il senso del tempo scompare camminando all’indietro: del tempo e dei tempi e delle attese, delle parole che non ci sono state e di quelle che invece quei vuoti li hanno riempiti.

mogwai post rock from scotland

Mogwai live on stage

I chilometri si rincorrono sul parabrezza. L’autostrada è un lungo verme grigio. Mi parli di Glasgow, di come là si parli un inglese buffo eppure orgoglioso. Di pinte e musica: di canzoni che ti sono entrate sotto la pelle e ora è difficile far uscire senza praticare incisioni che richiederanno – lo sai, lo so, lo sappiamo – troppo sangue per essere sanate. Parli di tua madre. Di come ti tolga la carne di dosso in quel suo amore d’altri tempi che è essenzialmente bisogno di dirti sono viva e tu ne sei la prova, non dimenticarmi. Ti si inceppa la voce a raccontarmi di un codice fiscale dettato a una segreteria telefonica, perché sai che anche se a volte non è facile definire cosa ci sia stato, la sua esistenza è già di per sé la prova di un qualcosa di importante. Non sai definirlo, ma non importa, definire è limitare. E, per un giorno almeno, non chiediamo limiti. Godiamoci piuttosto la prova di una forma superiore di fede che si annida nelle piccole cose sepolte quotidianamente da sufficienza, disattenzione e frenesie.

Il cielo ci rincorre. Dietro a noi nuvoloni che non promettono niente di buono; li osservo dallo specchietto retrovisore ma è un fuggire dalle tue parole. Il lavoro, i soldi. La rabbia e le occasioni sprecate, le polveri bagnate da nuvoloni di pioggia come quelli che ci inseguono. Avevi la possibilità di trovarti un lavoro nella grande città ma la grande città  ti ha frenato. Fa paura, ci credo. Ci combatto ogni giorno da anni. E’ una sfida emotiva che tengo sotto controllo a botte di sport e concerti. Tu lo sai benissimo, io lo scopro solo adesso, grazie alla scrittura di questo post.

Poi tua moglie, gli amici. Le cazzate fatte in questi anni. Uno di noi si è pisciato sotto durante una cena, manco se n’è accorto. Quando si è svegliato, i suoi gatti gli stavano annusando i jeans e non capiva perché.
Eh sì, perché poi ci sono questi anni, che sono lo specchio perfetto del nostro crescere, “come in un libro scritto troppo in fretta e troppo male”, citazione da applauso.
Ma intanto i nostri discorsi sono più veloci della tua auto che ingoia chilometri, del verme di asfalto grigio. Volano nel cielo mossi da una forza in grado di cancellare la geometria delle reticenze. Parlare significa un viaggio tra cuori schiusi e memorie custodite come conchiglie preziose, di quelle che ti porti a casa dalla spiaggia e conservi sulla scrivania a ricordo dell’ultimo giorno d’estate, di volti incrociati sulla sabbia, di sabbia che cancella quei volti. E delle onde, che ci hanno vaccinato dall’intraprendere strade sbagliate.

Un simulacro arrabattato all’istante. Una forma tascabile di Dio che glorifica l’amicizia e rende i giorni più digeribili. Li premastica.
Intanto tu cerchi parcheggio. Siamo alla terza sosta in autogrill, mentre il cielo ci tallona e le nuvole minacciose ci girano attorno come avvoltoi bianchi. Le nostre parole afferrano di nuovo la Scozia, gli abitanti di Glasgow, il loro accento buffo e fiero. La musica ci ha sempre fatto da scudo ricordandoci il suo essere qualcosa che, dopotutto, rende questa vita degna di essere affrontata. Fosse anche il silenzio di anni che assedia i giorni e questo asfalto che, dopotutto, non ne vuole sapere di lasciarci liberi.

“Lo sai che al Celtic Park, tra il primo e il secondo tempo, mettono su i Mogwai?”. Nessuno fa la fila ai bagni dell’autogrill. Da una parte all’altra dell’enorme stanzone bianco e asettico la voce copre canzonette in filodiffusione. “Se andassi a vivere a Glasgow la prima cosa che farei, prima ancora di cercare casa, è l’abbonamento in curva”. Per associazione mentale penso a un altro amico, una meteora. Abbonato al Celtic, la musica l’ha tirato fuori dalla merda. 

E a noi? Quando toccherà? Quanto dovremmo attendere in fila?

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4 risposte a Dio tascabile (e intanto i Mogwai, e il Glasgow Celtic..)

  1. lauraluna ha detto:

    E’ il tuo primo brano che leggo, ragazzo sei grande davvero.
    E’ stato un piacere e una scoperta.
    Ciao Lauraluna

  2. illuminopolis ha detto:

    ‘Friend of the night’ il tuo blog è molto interessante, ottima musica.

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